Al termine della Festa di fine anno un genitore di uno studente di terza media ha scritto questa lettera alla Scuola…
A distanza di tre anni, ci troviamo a festeggiare il percorso compiuto dai nostri ragazzi e il traguardo ormai raggiunto. Oggi è soprattutto la loro festa e li vediamo, qui, di fronte a noi ormai cresciuti alla soglia dell’adolescenza. Naturalmente non sono cresciuti soli e oggi è giustamente la festa della suola e, dunque, anche quella di noi genitori.
Merita allora soffermarsi qualche istante e ricordare il ruolo che la scuola ha svolto e rappresentato per tutti, noi compresi: il Sociale è stato, ed è, innanzitutto una “comunità”, una comunità educante – questo è il punto essenziale, a mio parere – ove tutte le sue componenti, allievi, docenti e genitori sono compartecipi di un’unica e coordinata azione educativa.In particolare, ricordiamo con gratitudine che noi genitori abbiamo avuto l’opportunità, per nulla scontata in realtà scolastiche diverse, di essere presenti nella scuola con le nostre esperienze, competenze e singolarità, così da realizzare un confronto tra famiglia e scuola allo scopo di condividere le istanze educative.
Ma ciò che oggi mi pare importante sottolineare è che sono stati proprio i nostri ragazzi i soggetti, o forse meglio le persone, posti in questi anni al centro dell’azione educativa, costantemente stimolati a sviluppare, in modo continuato e progressivo, le loro potenzialità così da divenire protagonisti consapevoli della propria crescita.
Non vorrei che tutto ciò sembrasse troppo astratto.
Se devo pensare cosa è stata l’esperienza di questi tre anni, mi viene in mente l’idea della scuola come “casa” comune – e lo dico per plurime testimonianze dirette, non solo sulla base di una percezione personale -, una casa ampia e confortevole che i nostri ragazzi hanno potuto pienamente abitare, vivendo e condividendo al suo interno studio, momenti formativi ricchi e vari, attività sportive, pratiche quotidiane. In una parola, un significativo tempo di crescita comune che ha cementato amicizie ormai pluriennali destinate – ne sono certo – a durare nel tempo.
Queste poche parole, però, debbono essere le più corali possibili, dando spazio ed evidenza ai pensieri e alle esperienze che altri genitori mi hanno ricordato.
Preziosa è la riflessione di come la scuola abbia rappresentato – e lo aveva già efficacemente sintetizzato la professoressa Vigna tre anni orsono, in occasione del precedente momento di passaggio – un porto sicuro, dal quale poter partire per le varie esperienze, ma anche al quale poter ritornare per ritemprare le forze e rafforzare le sicurezze.
Altrettanto bello e significativo è il richiamo al magistero socratico, la maieutica in senso proprio, vale dire la capacità di far nascere – poiché era, letteralmente, la capacità dell’ostetrica di aiutare a venire alla vita – in ciascuno l’amore per il sapere, accendendo nei ragazzi il desiderio per di crescere nella conoscenza e nella consapevolezza.
E ancora, soffermiamoci su un pensiero di Massimo Recalcati, autore e psicanalista che tutti conosciamo, (tratto da: L’ora di lezione, Per un’erotica dell’insegnamento, Torino Einaudi, 2014), che così recita: “La scuola è il luogo dell’incontro che trasporta, muove, anima, risveglia il desiderio di conoscenza”.
Ringraziamo ora di cuore tutti coloro che hanno promosso, a vario titolo e secondo il rispettivo ruolo, l’educazione di nei nostri ragazzi: la professoressa Bianco, nostra direttrice; la professoressa Vigna, nostra preside, tutti i docenti, anche del doposcuola, senza dimenticare il personale non docente spesso tramite partecipe e indispensabile tra la scuola e ciascuno di noi.
Un pensiero grato deve essere rivolto ai padri gesuiti tutti, che con la loro fattiva presenza, hanno reso possibile a tutti l’esperienza del Sociale. L’attuale dirigenza, nella persona di padre Alberto Remondini; il nostro storico “padre rettore” Vitangelo Denora”, cui è dovuto un ringraziamento speciale: senza di lui il Sociale non sarebbe quello che è. E tutti gli altri padri (penso a padre Piero Granzino, senza per questo omettere nessuno) che hanno assistito i nostri ragazzi.
Consentitemi, ora un auspicio, un augurio e un’esortazione diretta a tutti i nostri ragazzi. Si tratta di un monito che ci giunge dalla storia della filosofia. Da un uomo che ha saputo rivoluzionare il modo di pensare: Immanuel Kant. Ne avrete sentito parlare dai vostri docenti.
Il monito è questo: “Sàpere aude”, “Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!”. E desidero commentarlo con le parole di un celebre filosofo torinese, Sergio Givone: “abbi il coraggio di sapere: è questo secondo Kant il motto dell’illuminismo, ma anche di chiunque ami la conoscenza e dunque la lettura. Perché sapere non significa possedere o acquisire un patrimonio di nozioni, ma esige curiosità, slancio, azzardo, in una parola coraggio. Non c’è sapere che non metta in gioco colui che si appresta a vivere la sua piccola o grande avventura intellettuale e dunque non c’è sapere che non comporti rischio, anche il rischio di smarrirsi e di perdersi. Ma solo chi è disposto a correre questo rischio potrà trovare se stesso. Coraggio, dunque.”.